
Circa un anno fa, eravamo in pieno “lockdown”, pubblicai su questo blog alcune riflessioni e proposte su come sarebbe cambiata la mobilità (e più in generale il modo di vivere lo spazio urbano e il ruolo delle grandi città) dopo la crisi sanitaria che stiamo (ancora) vivendo.
Dopo dodici mesi, provo a rilanciare il discorso.
La crisi, da sanitaria, è diventata sempre più economica e sociale.
Per uscirne, da un lato occorre realizzare, tra le altre, le necessarie infrastrutture per rendere il sistema di trasporto pubblico realmente competitivo (tram e metropolitane) aumentandone la capacità e le performance, rendendo al contempo la città attrattiva per imprese e turismo di qualità, puntando inoltre su alcuni poli di eccellenza (Università e Ricerca, Sanità, Idrogeno, Spazio, Agroalimentare); dall’altro occorre ripensare completamente i luoghi della città, lo spazio pubblico, e le relative modalità di spostamento e interazione dei cittadini.
In primis, vanno restituiti gli spazi alle persone: strade, piazze non possono più essere relegate al ruolo di garage, gratuiti e a cielo aperto, a tempo illimitato. Al di là dell’essere o meno d’accordo, non possiamo più permettercelo. Non possiamo più permetterci di destinare 10 mq di suolo pubblico (= di tutti) ad un oggetto che viene utilizzato nella migliore delle ipotesi un paio d’ore al giorno, spesso da un solo occupante, disperdendo l’80% dell’energia che assorbe, che crea delle esternalità negative enormi, dall’inquinamento agli incidenti stradali. E’ una questione che va oltre la mobilità e l’ambiente, è una questione di democrazia degli spazi.
Abbiamo il dovere di rimettere le persone al centro. Per attività ludiche, sportive, o semplicemente per parlare e confrontarsi. Per vivere la città. E più si vive la città, più la si rispetta, l’antidoto migliore contro degrado e incuria. O anche per i tanti ristoranti e attività di somministrazione in attesa di ripartire. Con criterio, con giudizio, con un cronoprogramma per fasi, mitigando i conflitti, ma va fatto.
Continuando sulla strada intrapresa, definita nel PUMS, con pedonalizzazioni e isole ambientali che si stanno realizzando (ancora poche) e ciclabili (decisamente di più). Ribadendo ancora una volta un principio fondamentale, non si tratta di un vezzo ambientalista per ridurre le emissioni (che comunque già sarebbe più che sufficiente) ma, sottolineo ancora una volta, di democrazia degli spazi. Non è concepibile che il 95% del suolo di una città sia dedicato esclusivamente e illimitatamente ad una sola componente (il traffico privato) che tra l’altro è la più dannosa in termini ambientali, sanitari, economici.
I cambiamenti “imposti” dalla crisi, su tutti il ricorso allo “smartworking” resteranno. Per questo motivo le grandi città devono reinventarsi. Dovranno essere ancora più accoglienti, sostenibili, con una qualità della vita alta, luoghi dove cogliere le opportunità e far incontrare intelligenze, per creare ed innovare. Il rischio per Roma, se resterà la città della “burocrazia” e poco altro, è quello di veder “scappare” i propri abitanti verso l’hinterland, con tutti i riflessi che questo può avere sull’economia e lo sviluppo.
Su questo, la politica deve fare un salto di qualità, guidare in prima linea il cambiamento, mettere da parte le beghe futili, i dieci voti per lo spostamento della fermata dell’autobus, i post sui social, volare alto, con una visione chiara da qui a dieci anni di cosa vorrà essere la Capitale d’Italia, su quali settori puntare ed investire, per attrarre intelligenze e competenze.
Noto con rammarico, invece, che dopo dodici mesi, salvo eccezioni sporadiche, siamo ancora alla ZTL si/ZTL no.
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Completamente d’accordo. Chiederò, come Consulta, la redazione di un vero e proprio piano urbanistico per la trasformazione di tutti i quartieri (i 195 indicati dal CRESME) in “zone 30”, basato su poche ma decisive opere per la revisione della percorribilità interna, la configurazione delle strade e delle aree pedonali. Stima sommaria dei costi: da mezzomilione a 2 milioni a quartiere. Stima totale 200 milioni, da impegnare in 10 anni, 15/20 quartieri per anno.
Troppo ottimista? può essere, ma dobbiamo provarci…
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Roma manca di una visione di città dai tempi di Veltroni. Vivendo a Parigi e vivendo quotidianamente i cantieri colossali che sono stati avviati da almeno due anni per rivoluzionare la mobilità della città, ogni ritorno a Roma è una constatazione di arretratezza politica. Ed è una constatazione amara, molto amara.